La crisi economica in Italia segna difficoltà non indifferenti a causa di un contesto turbolento, con un credit crunch in atto ed un sistema che rende difficile fare impresa.
L’indagine Mediobanca sulle imprese italiane, che prende in esame 2032 società con sede in Italia, giunge alla conclusione che non è remunerativo fare impresa, e le ragione sono molteplici: dalla sostanziale crescita del costo del debito, alla riduzione degli stanziamenti da parte delle banche.
Dal 2008 al 2011 la situazione economico finanziaria delle imprese è decisamente peggiorata, con una sostanziale distruzione di ricchezza che riguarda in primis le grandi imprese.
A sorpresa di tutti, sono le piccole realtà, soprattutto quelle basate sul Made in Italy, a reggere maggiormente il colpo, grazie a strutture più snelle e una minore esposizione del debito.
Tornando ai dati diffusi da Mediobanca, le imprese hanno incrementato il costo del debito dal 5,6 al 6%, mentre le modalità di finanziamento non vanno ricercate nel classico canale bancario, tanto che a causa del credit crunch l’esposizione alle banche è scesa del 25% con minori finanziamenti per 11,5 miliardi di euro.
Secondo l’Ufficio Studi sono circa 17,5 i miliardi che le imprese hanno reperito al di fuori del circuito bancario.
La redditività è molto bassa, con un ROI pari al 5,8%, che non riesce quindi a compensare il costo del debito. Il capitale investito, sia proprio che di terzi è del 7,2%, si tratta quindi in sostanza di una distruzione di ricchezza dell’1,4% che rende non conveniente fare impresa in Italia.
E’ evidente che in Italia esistono realtà virtuose e generalizzare è sempre sbagliato, ma nella media la situazione è poco rassicurante. Tra le diverse imprese quelle più grandi soffrono di più di quella di taglia media o piccola, mentre le imprese controllate da gruppi esteri riescono ad ottenere ritorni più interessanti (con un 1,5% tra redditività e costo del capitale).
Mediobanca poi ha sottolineato come il Roe, che costituisce il rendimento di chi ha apportato capitale di rischio, è stato inferiore al tasso free risk. Tradotto in linguaggio più semplice, chi avesse investito in Btp avrebbe guadagnato più di chi invece ha investito in attività di impresa. Nel 2011 infatti il rendimento dei Btp è salito dal 3,4 al 4,9%.
In favore dell’investimento in Btp anche le aliquote di favore, considerando che sui titoli di Stato c’è una tassa sul capital gain del 12,5% mentre sull’attività di impresa la tassazione è ben più elevata.