Gli effetti del quantitative easing: i ricchi sempre piu’ ricchi

Quantitative Easing BCENon passa giorno senza che in Europa non sentiamo i soliti sapientoni chiedere a gran voce l’intervento della Banca Centrale Europea per stimolare l’economia e battere la crisi. Questo tipo di interventi, ovviamente, vengono ripresi dalla stampa e, soprattutto, dai politci a corto di argomenti. Se siamo in crisi, dunque, è colpa dell’Europa, non degli stati che si sono indebitati oltre misura e che hanno vissuto per anni ben al di sopra delle loro possibilità. In altre parole la colpa della crisi non è dunque dei politici che hanno sperperato immense risorse pubbliche, ma è della BCE che non fa abbastanza.

Che cosa potrebbe fare la BCE?

Di solito una banca centrale ha in mano la leva del tasso ufficiale di sconto che può essere usata per far crescere il PIL o contrastare l’inflazione. Ebbene, attualmente il tasso ufficiale di sconto in Eurolandia è al 0,50%, si potrebbe limare al massimo di un altro quarto di punto e poi basta perché i tassi negativi, sebbene siano contemplati da alcune ipotesi di scuola citate anche da Mario Draghi, nella realtà non sono realizzabili.
Che altropotrebbe fare una banca centrale? Durante una crisi di liquidità potrebbe fornire liquidità al sistema e la BCE lo ha fatto in maniera egregia, in diverse occasioni. Anzi, probabilmente qualche volta si è pure lasciata sfuggire un po’ la mano.
Ma allora che cosa vogliono i politici dalla BCE? Vogliono il quantitative easing.

Che cosa è il quantitative easing

Si tratta del sogno proibito dei politici: stimolare l’economia in modo massiccio, senza visibili aggravi sulla spesa pubblica e dunque senza aumento della pressione fiscale. Insomma, visto dall’ottica dei politici, questa pratica si traduce in più voti. Nel brevissimo periodo. Gli effetti nel lungo periodo sono nefasti, ma andiamo con ordine.
Il quantitative easing consiste nell’acquisto, da parte di una banca centrale, di titoli finanziari anche tossici detenuti dalle banche. Da notare che con questa pratica le banche centrali cambiano il modo convenizionale di controllare la base monetaria, che passa per i titoli pubblici.

L’effetto primario di questa manovra monetaria è chiara: banche e altri istituti finanziari possono liberarsi di titoli tossici accumulando liquidità.
La FED iniziò questa politica durante la crisi dei mutui subprime. Le banche erano sull’orlo del baratro perché erano piene di titoli strutturati che corrispondevano a mutui subprime impacchettati. Ovviamente si trattava di titoli spazzatura, che non avevano mercato visto che i mutuatari avevano smesso di pagare le rate. La FED si è riempita di questi titoli spazzatura dando in cambio soldi liquidi che hanno salvato le banche.
Ma anche una volta passata la fase più acuta della crisi finanziaria, la Riserva Federale ha continuato ad acquistare decine di miliardi di bond al mese, incrementando notevolmente la base monetaria.

Gli effetti a breve e a lungo termine

Più soldi immessi nel sistema (parliamo di 80 miliardi di dollari al mese) hanno portato gli USA ad avere dei modesti tassi di crescita in questi 4 anni e hanno consentito di creare anche posti di lavoro, sebbene in misura minima e di bassa qualità. L’effetto più evidente, però, è stata la fortissima crescita degli indici azionari USA, tanto più che si è registrato in anni in cui l’economia è cresciuta poco o per nulla (per un’analisi dei fattori che muovono il mercato azionario si può consultare http://www.piattaformeopzioni.com/mercato-azionario.php).

Questo ha comportato un aumento significativo della ricchezza degli americani più ricchi, quelli che ancora possono investire in borsa. Non è un caso che gli studi che misurano il numero di milionari nel mondo hanno segnalato, per la prima volta dopo anni, un aumento di milionari negli USA.
Nel breve periodo, dunque, gli americani più ricchi hanno potuto beneficiare degli effetti della crescita azionaria.
Hanno anche avuto un altro beneficio indiretto: la crescita, anche se artificiale, ha comunque creato dei posti di lavoro, diminuendo così il carico sulla collettività e dunque la necessità per lo Stato di reperire risorse tramite la tassazione. Insomma, gli USA si sono potuti permettere di tenere le imposte relativamente basse (malgrado i goffi tentativi del presidente Obama subito stoppati con decisione dal Partito Repubblicano) anche perché c’era il quantitative easing.

Ma se gli effetti a breve periodo hanno reso i ricchi più ricchi, quelli sul lungo periodo renderanno più poveri i poveri.
Perché le politiche monetarie espansiva portano sempre ad una crescita del tasso di inflazione e questo è vero a maggior ragione quando vengono attuate con metodi non convenzionali.
E tutti gli esperti di economia ci insegnano che l’inflazione è una tassa occulta che colpisce soprattutto i più poveri, i quali non hanno la possibilità di adeguare immediatamente i loro redditi all’aumento del costo della vita.
In pratica, quando arriverà l’inflazione, le classi meno abbienti (ma anche quelle medie) si ritroveranno con un tenore di vita molto inferiore anche a parità di redditi nominali. E i risparmi di una vita saranno bruciati rapidamente dalla corsa dei prezzi.

Risovere i problemi, non nascondere la polvere sotto il tappeto

Da questa brevissima analisi è evidente che il quantitative easing ha portato ad un trasferimento netto di ricchezza verso gli strati più elevati della società che investono nei mercati azionari e che determinerà, nel medio periodo, un forte aumento dell’inflazione che peggiorerà le condizioni di vita delle classi meno abbienti. Questo dimostra, una volta di più, che non esistono scorciatoie e che si vuole uscire dalla crisi bisogna risolvere i problemi, non nasconderli sotto il tappeto.
La crisi è stata provocata dall’eccesso di debito, pubblico e privato.
Ebbene, se vogliamo risolvere i problemi i debitori, pubblici e privati, devono iniziare a diminuire la loro esposizione, evitando di chiedere ulteriori prestiti.

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