I Certificati del Tesoro zero-coupon (CTZ) sono privi di coupon, e questo vuol dire che non maturano una cedola di interessi periodica; la remunerazione per l’investitore infatti è calcolata, come per i BOT, tramite il cosiddetto scarto di emissione che consiste nella differenza tra il prezzo al quale il titolo viene rimborsato all’investitore al momento della sua scadenza e il prezzo che l’investitore ha pagato al momento dell’acquisto del titolo stesso. In questo possiamo tranquillamente dire che i BOT e i CTZ si equivalgono completamente se non fosse per la loro durata: mentre i BOT hanno scadenze a 3, 6 o 12 mesi, i CTZ possono avere scadenza a 18 o 24 mesi dalla loro emissione.
Un’altra piccola differenza consiste nel metodo di tassazione dei due titoli, così che se i BOT vengono tassati al momento dell’acquisto tramite un aumento del prezzo del 12,5%, i CTZ vengono tassati al momento dell’incasso, detraendo dal loro valore di rimborso sempre la solita aliquota del 12,5%. Anche i CTZ vengono contrattati tramite asta sul MOT (Mercato Telematico delle Obbligazioni) e sul MTS (Mercato Telematico a pronti dei titoli di Stato).
Le aste sono accessibili solo agli operatori finanziari autorizzati che acquistano i lotti per conto degli investitori che li hanno incaricati.
Una legge del 1998 ha poi stabilito che l’importo minimo da investire in CTZ è di 1000 euro, a salire sempre però con multipli di 1000.
Una volta acquistati, i CTZ possono essere ceduti in qualsiasi momento rispettandone le quotazioni di mercato e accollandosi il costo delle eventuali commissioni di transazione. Ovviamente se si agisce in questo modo, i CTZ saranno sottoposti alle oscillazioni di mercato risentendo degli umori di questo che possono essere a favore dell’investitore, garantendogli una maggiore rimuneratività, ma anche a suo svantaggio.