Il rigore e l’austerità da sole sono una terapia inefficace. E’ questa in estrema sintesi l’opinione della Corte dei Conti, che durante un’audizione sul Def esprime il proprio disappunto alle commissioni bilancio di Camera e Senato.
A parlare il presidente dell’organismo istituzionale Luigi Giampaolino, che sottolinea come un azione di governo eccessivamente focalizzata sul rigore, con dosi massicce di austerità e in assenza di politiche di solidarietà, finisce per rivelarsi una terapia molto costosa, che non da neppure garanzie di riuscita in termini di allentamento delle pressioni da parte dei mercati finanziari.
Chiaro il riferimento all’azione del governo tecnico guidato da Mario Monti, che dal suo insediamento in poi ha focalizzato la propria regia sulla contrazione del deficit con l’obiettivo prioritario del pareggio di bilancio entro il prossimo anno come esplicitamente richiesto da Bruxelles. Sulla situazione italiana il presidente Giampaolino ha sottolineato la debolezza dei consumi interni, con le famiglie che risentono fortemente della crisi. Idem la situazione per le imprese, come dimostra la contrazione degli investimenti fissi di oltre l’8%.
Il presidente della Corte dei Conti parla di un rischio “corto circuito rigore-crescita” con il Def che prevede ancora austerità per il prossimo anno tanto che le azioni programmate, a suo dire, passeranno per il 70% attraverso aumenti di imposte, portando la pressione fiscale a superare il 45%.
La Corte dei Conti non ritiene che siano necessarie ulteriori manovre correttive sui conti pubblici dopo quelle già varate prima dal governo Berlusconi e poi da quello Monti.
In giornata anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha espresso ancora una volta parole molto dure sulla congiuntura economica italiana, prevedendo una lieve ripresa soltanto sul finire del prossimo anno.
Il rappresentante degli industriali inoltre si è detto favorevole alla lotta contro l’evasione fiscale e sulla tassazione ritiene che il Paese deve recuperare almeno 10 punti di pressione fiscale perché altrimenti perde di competitività col resto del mondo.